A Imperia un incontro-dibattito con Eduardo Murua su "Lavorare senza padroni è possibile"
Le informazioni che seguono sono tratte dal libro: “Lavorare senza padroni. Viaggio nelle imprese recuperadas d'Argentina” di Elvira Corona (EMI Editrice Missionaria Italiana 2011), pp. 227-249. Industrias metalurgicas y plasticas Argentina (Impa) è una fabbrica che oggi lavora l’alluminio, ma in tutta la sua storia, fin dalla sua fondazione nel 1918, ha lavorato anche il rame e prodotto componenti per l’aviazione e perfino armi, diventando una fabbrica strategica all’epoca di Juan Perón che per questo nel 1948 la nazionalizzò. Nel suo periodo migliore arrivò ad avere tre impianti dislocati tra Buenos Aires e la periferia. Nel 1997 era sull’orlo del fallimento. I lavoratori la recuperarono l’anno successivo e proprio nella sede dell’Impa si formò il primo Movimento nazionale delle imprese recuperate. Impa è un simbolo nel panorama delle fabbriche recuperate. Sia per la sua importanza storica, sia per le sue dimensioni, sia soprattutto per la radicalità della sua lotta. È la prima impresa che viene recuperata dopo un processo di vaciamiento, nel 1997. È un’impresa attiva da quasi ottant’anni, la prima di trasformazione dell’alluminio in Argentina. È passata per diverse forme di società, prima un’impresa privata, poi un’impresa dello stato, nel 1948, perché, avendo dei capitali tedeschi, lo stato all’epoca del peronismo decise di nazionalizzarla. Nel 1961 nel paese iniziò una fase di privatizzazioni e di trasformazioni, che portò al passaggio delle imprese dello stato a imprese di capitale. Molte di quelle che in passato erano state nazionalizzate tornarono ad essere di capitale anonimo, mentre altre vennero chiuse. In questo processo a Impa toccò la chiusura. Nel 1997 entrò in concurso de acreedores e nel 1998 il suo destino sarebbe stato quello di chiudere, come molte imprese argentine in quegli anni, in seguito a processi di vaciamiento e di riconversione dell’economia nazionale a un sistema capitalista degli anni Settanta. Invece i lavoratori decisero di occupare la fabbrica e iniziarono un processo di recupero che fra i numerosi ostacoli incontrati trovò anche le burocrazie sindacali argentine. All'esperienza della “toma de fabricas” non credeva nessuno inizialmente. Eduardo Murúa, operaio della Impa, descrive chiaramente l'obiettivo a cui queste esperienze tendono: “di fatto crediamo nell'autogestione dei lavoratori, ma anche che per poter cambiare la realtà di tutti, noi abbiamo un compito primario: distruggere il sistema capitalista. Senza questo non c'è modo di non avere padroni, per quanto si possa essere autogestiti”. Nel 2000 gli operai della IMPA si fanno promotori della nascita dell'organizzazione “Movimento nazionale delle imprese recuperate”: il movimento si distingue da altre formazioni cooperative delle Ert per una forte impronta anticapitalista non assumendo solo le battaglie legate al mondo del lavoro stricto sensu, ma anche altre e diverse rivendicazioni di carattere globale. L'associazione nacque da una parte per l'esigenza di fare rete, di costituirsi come soggettività politica e sindacale (visto il comportamento ostile dei sindacati tradizionali), dall'altra per ampliare la questione del lavoro e produrre un impegno sociopolitico che tentasse di costituire anche un cambiamento più largo nella società argentina. Murua ci dice: “...noi non vogliamo fare la fine dei sindacati in Argentina. Se creiamo un’organizzazione sociale con solo le sue rivendicazioni, questa può essere immediatamente cooptata dallo stato e finire per far parte del sistema, come le altre. Impa non solo ha recuperato sé stessa, ma è stata al fianco di molte altre imprese da recuperare, mettendoci la faccia e stando sul fronte (ha il numero più alto di compagni in prigione e di compagni feriti nelle lotte)”. La Impa a differenza di altre fabbriche recuperate aspetta ancora una legittimazione giuridica, pur avendo ottenuto il possesso della fabbrica ha subìto un contraccolpo verso il suo riconoscimento, perché la Corte Costituzionale mette ancora in discussione l'applicazione della legge di espropriazione. Uno dei motivi politici di questa scelta è la forte indipendenza ed autonomia che gli operai desiderano mantenere dal sistema di potere kirchnerista che spesso ha tentato di cooptare all'interno del partito e delle istituzioni l'organizzazione operaia. Nel 2005 il collettivo di operai della Impa arrivò ad occupare La Casa Rosada durante i festeggiamenti per la cancellazione del debito, richiamando il governo agli impegni presi un anno prima con il movimento delle imprese recuperate e mai mantenuti. La Impa ospita anche un centro sociale accanto alla fabbrica denominato “Fabbrica delle idee”, dove tutto il quartiere si incontra per le assemblee, infatti gli spazi sono aperti a numerosi collettivi che necessitano di un luogo dove riunirsi, e per la costruzione di una socialità al di fuori delle leggi del consumo. Sono presenti laboratori di teatro, e anche corsi di scolarizzazione popolare che hanno un riconoscimento formativo ufficiale da parte del ministero dell'istruzione argentino. Inoltre da qualche anno è nata un'università per i lavoratori stessi della fabbrica. Tutte le attività parallele alla produzione nate nel centro sociale e culturale sono prive di retribuzione e tutte organizzate a titolo volontario. La Impa si è anche spesa molto per creare una rete latinoamericana delle fabbriche recuperate e ora è parte di una soggettività continentale che annovera anche esperienze venezuelane, uruguayane, brasiliane. Eduardo Murua (oltre ad essere l'attuale portavoce della fabbrica) è anche uno dei portavoce di questa realtà che abbraccia tutta l'America Latina. Oggi (martedì 24 settembre) incontro-dibattito con Eduardo Murua, operaio argentino della fabbrica recuperata Impa invitato in Italia nell'ambito dell'incontro “Common/property” organizzato dal municipio dei beni comuni nei nuovi spazi del Laboratorio Rebeldia di Pisa. | ||