L’Aquila, le Poste e quei troppi danni del terremoto
Alle prime luci dell’alba del 6 aprile 2009, quando ancora morti e feriti giacevano sotto le macerie de L’Aquila, i capi delle Poste si lanciarono in corsa verso la fiera del terremoto. Bisognava fare in fretta: 10 settimane, 70 giorni appena, per stimare i danni, trasmettere le cifre alla Protezione civile di Guido Bertolaso in modo che quest’u ltimo potesse poi sottoporre il totale all’Unione europea e ottenere i finanziamenti del Fondo di solidarietà (Fsue). Per avere quei soldi era necessario dimostrare che il sisma aveva lasciato dietro di sé più di 3 miliardi e mezzo di guasti, soglia al di sotto della quale l’Europa non avrebbe concesso un euro di soccorso. Grazie anche ai danni segnalati dalle Poste e stimati nella bella cifra di 32 milioni di euro, i finanziamenti europei furono acciuffati: 500 milioni, gran parte dei quali (350 milioni) subito utilizzati dal governo di Silvio Berlusconi per il famoso e fallimentare progetto Case. Sulla base dei danni stimati, le Poste poi chiesero i risarcimenti opportuni alle varie assicurazioni. IN QUEI GIORNI di dolore e confusione ci fu a L’Aquila chi ritenne opportuno documentare i danni delle Poste scattando centinaia di foto, girando video, raccogliendo email, rendiconti, files, carte, tabulati postali. Quella mole enorme di documenti fu poi consegnata al colonnello Francesco Albore, un ufficiale dei carabinieri dell’Olaf di Bruxelles, l’organizzazione europea per la lotta alle frodi, e successivamente anche alla Procura della Repubblica de L’Aquila. Il Fatto Quotidiano ha potuto prendere visione di questo materiale. Secondo chi raccolse quella documentazione le Poste si ingegnarono ad implementare con metodo i danni del terremoto aquilano. I casi raccolti sono tanti. Uno dei più clamorosi è quello del Cpo, Centro postale operativo in contrada Centi Colella. Dalle foto quel robusto palazzo in cemento e travi d’acciaio non sembra affatto distrutto, ma a spron battuto fu dichiarato seriamente danneggiato dalla direzione immobiliare postale guidata da Vincenzo Falzarano, un dirigente che poi ha fatto carriera diventando amministratore delegato di Europa gestioni immobiliari, una delle società del gruppo postale. Gli uffici e i dipendenti del Cpo furono trasferiti in un altro locale preso in affitto a sei mila euro al mese, ma il Cpo non fu sprangato, anzi, nei giorni e nelle settimane successive si tennero proprio lì svariati incontri operativi e di coordinamento. In quelle stanze installò il suo quartier generale lo stesso ingegner Falzarano insieme ai collaboratori con i computer e i collegamenti alla rete funzionanti. Il palazzo del Centro postale fu poi ristrutturato dalle fondamenta al tetto sulla base di un danno stimato di 5 milioni e 400 mila euro. Perfino per un pilastro scrostato da almeno 5 o 6 anni della Direzione postale di Pescara, città a 70 chilometri in linea d’aria da L’Aquila dove il terremoto non si era in pratica sentito, fu incolpato il sisma e calcolato un superdanno di 60 mila euro. Per i container stesso sistema. Nelle mail spedite 3 giorni dopo il terremoto l’inviato postale Falzarano comunicava all’amministra – tore Massimo Sarmi, al capo dei Servizi postali, Fabio Meacci, e a quello della divisione Mercato privati, Pasquale Marchese, che i primi 350 metri quadrati di container sarebbero stati installati in una settimana. Intorno al 20 aprile i container furono effettivamente piazzati e per questa prima operazione venne calcolata una spesa che agli esperti del ramo oggi appare stratosferica: oltre 450 mila euro, mentre altri 850 mila euro venivano indicati come costi futuri. I calcoli finali facevano riferimento all’in – stallazione di 1500 metri quadrati di container quando quelli effettivamente installati furono meno di mille. Stessa prassi con otto motorini Liberty Piaggio e una Fiat Ducato. La notte del terremoto i motorini parcheggiati sotto una tettoia del Centro postale de L’Aquila caddero per le scosse. La mattina successiva furono fotografati e rimessi sul cavalletto, nelle stesse condizioni di prima. A SORPRESA i dirigenti li dichiararono però danneggiati ordinando di trasferirli nel centro postale di Bravetta a Roma. Dopo un po’ rispuntarono perfettamente funzionanti nelle strade della Capitale. Per i motorini e il Ducato Fiat fu stimato un danno di 94 mila euro, come risulta da un documento redatto dall’am – ministrazione e controllo centrale delle Poste. Dai motorini ai computer. Dalla documentazione ufficiale risulta che il terremoto aveva distrutto un ben di dio di attrezzature con un danno di 220 mila euro nel Centro operativo de L’Aquila e negli uffici direzionali di piazza del Duomo, più altri 200 mila euro negli uffici della provincia. Dalle foto e dalle testimonianze non risulta però che nel Centro postale de L’Aquila ci fossero così tanti computer compromessi. Quelli dichiarati danneggiati furono in realtà trasferiti in parte nella sede presa in affitto e rimessi in uso. Siccome però nei nuovi locali tutti quanti non c’en – travano, molti furono consegnati ad una ditta, la Poliservice di Chieti, che li ammassò nei sotterranei di uno stabile postale di Avezzano in piazza dei Cavalieri di Vittorio Veneto. La stessa sorte toccò alla stragrande maggioranza dei computer degli uffici minori. Perfino sui pasti e le trasferte dei dipendenti spediti a L’Aquila per riavviare il servizio postale fu organizzata la fiera. In quei giorni subito dopo il terremoto si potevano mangiare solo panini o un pasto caldo gratis alla mensa dell’esercito e della Croce rossa. Dai tabulati ufficiali risulta però che dal 6 al 20 aprile ognuno degli 84 dipendenti inviati dalle Poste avrebbe speso in media 448 euro al giorno. Come al Grand Hotel. di Daniele Martini Inserito febbraio 25, 2014 Da Fonte: il fatto quotidiano | ||