Occupazione, disoccupazione e altre “amenità” ideologiche.
Se alle Poste l’organico è stato ridotto, in vario modo, da circa 250.000 a circa 140.000 unità, la logica del dio mercato, da lorsignori posta in cima ad ogni pensiero, azione e parola, ha come effetto reale la disoccupazione. Cioè la creazione di una condizione di povertà, miseria, abbrutimento umano.
Vogliamo parlare un’altra lingua, perché quella istituzionale ci dedica solo statistiche e ricette-promesse consolatrici, la cui efficacia medica è quella di accompagnare il malato all’ultimo respiro senza farlo soffrire troppo, cioè sedandolo affinchè non si ribelli. L’art. 41 della Costituzione italiana, compromesso più o meno nobile tra vecchia borghesia democristiana e nuova progettualità comunista – dopo la liberazione del 1945 -, dice che l’impresa privata è libera, ma aggiunge che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale…”. E che “l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali“. Se i governi dal 1945 avessero agito con questa filosofia non saremmo al disastro economico, morale e civile nel quale si trova il popolo “sovrano“. Noi pensiamo quindi coerentemente che il problema non sia il lavoro, nei termini in voga di occupazione-disoccupazione, ma la distribuzione della ricchezza. La ricchezza disponibile di uno Stato è tutta nei forzieri della Banca nazionale… che emette titoli cartacei per le esigenze degli scambi. E’ su questa circolazione che si formano le gerarchie sociali, terreno delle ingiustizie, dei soprusi, dei ricatti, delle mafie, della corruzione… spesso in nome anche del cosiddetto “merito”, alibi sciagurato ed infame (se non eliminati gli handicap di partenza) per truffe legali di posizione. Cominciamo da qui a ripensare. Ma con la lingua della strada. Osservatorio p.t. | ||