Era il 1992.
Il 19 maggio a Capaci, Sicilia. Il 23 luglio a Palermo, Sicilia.
Di Cillo Rocco, Falcone Giovanni, Montinaro Antonio,
Morbillo Francesca, Schifani Vito.
Borsellino Paolo, Catalano Agostino, Cosina Walter Eddie,
Li Muli Vincenzo, Loi Emanuela, Traina Claudio…
venivano fatti saltare in aria nelle loro auto,
con comando-commando a distanza.
Vent’anni dopo,
le cronache istituzionali celebrano la grandezza professionale
dei magistrati e delle loro scorte, caduti in servizio.
Li chiama- la retorica ufficiale-eroi,
distribuendo tra il popolo credente “immaginette” sacre in memoria.
Uomini e donne uccise dalla mafia, dicono.
La mafia..
Nessun dubbio (giudiziario) su chi manovrò il comando omicida
e su chi premette il “grilletto”.
Ma né primi, né ultimi, della storia siciliana e nazionale.
Se la risposta al “chi è stato” ora è rinchiusa nei fascicoli penali,
gira sempre la domanda politica.
Chi convive, chi sostiene i poteri mafiosi
e ne gode vantaggi personali e collettivi.
Chi?
I segreti di Stato e i loro agenti vigilano
perché il silenzio continui e le celebrazioni patriottiche fioriscano.
Un paese democratico non ha bisogno né di segreti né di servizi segreti .
Questo è il problema ,ieri e oggi.